emergenze ed emergenti

I cento metri di un poeta

Ilario Malcina (Potenza 1985) poeta e giornalista freelance. Lasciati gli studi universitari a Milano si trasferisce in Nuova Zelanda, dove trova lavoro prima come bracciante agricolo e poi in una macelleria. Trascorso li qualche anno, decide di ripartire e inizia a realizzare servizi giornalistici in zone sensibili e teatri di guerra (Libia ed Egitto tra le altre). “La poesia è la mia fuga” dice “Lo scrivere sono i miei cento metri per arrivare alla pace, anche solo momentanea, della mente. Una liberazione.”

La malattia

Cervello cola, si aggrappa
a dei binari morti.
Aspetta l’ora dell’alba
per librarsi in aria,
grigia farfalla
in cerca di trappola luminosa.
Ragno la cattura in aperta campagna
dove le urla finiscono sole.

I ratti divoreranno le ossa
e isseranno teschio
alle porte della città.
La peste si diffonderà presto
tra i malati di cuore.

Senza fede

Eterno è il pensiero
nell’infinito attimo
tra una cosa e l’altra.

Tu lo scolpisci
perché esso abbia vita,
si compia, diventi mortale;
cinicamente finisca.

Eppure godere così solo puoi.
E ancora non intendi quanto.

Ho compreso il tremare del vento

Ho compreso il tremare del vento
che sfiora l’erba ma non raggiunge
questa placida terra.
E ciò che può fare
è suonare più forte da Est.
Ma la terra inamovibile,
ornata del colore
che più gli aggrada,
non risponde,
attendendo la musica
che dio, o forse sua madre,
tiene in serbo per essa.
Ho compreso il tremare del vento.

 

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poesie

La luna nuova

Giorgio-De-Chirico

La luna nuova.

Anch’ella la guarda

da un’altra porta.                               

                                     Jorge Luis Borges (Diciassette haiku) 


 Uno stupendo haiku da quel wannabe jappo di Borges. Famoso per aver scritto di sogni contenuti in altri sogni a loro volta sogni di altri sogni (ecc. ecc.) i suoi componimenti poetici sono caratterizzati spesso dal paradigma chiamato “scherzavo!“, conosciuto e praticato segretamente nei giardini delle scuole medie di tutto il mondo.

PARADIGMA

“Ora ti svelerò un segreto, ma non devi dirlo a nessuno”

“Dimmi Louis sono tutt’orecchie, sai che non spiccicherò parola fino alle vacanze estive”

Scherzavo! Non c’è nessun segreto. Ci caschi sempre eh”

 ESEMPIO PRATICO

Qualcosa mi han detto
la sera e la montagna.
Ma l’ho perduto.

Come si vede tutti i passaggi  del suddetto paradigma sono stati rispettati. Entriamo ora in un sogno di Borges:

 

 

Si notino la location e le inquadrature prese di peso da un quadro di De Chirico. Arbasino, che ci appare come l’intervistatore, nella realtà è solo una delle tante vocine che Borges sente nella sua testa e la tratta come tale. Nella mezz’oretta di flusso onirico il poeta spala merda un po’ su tutto e tutti, con nonchalance. Specialmente Ezra Pound e Thomas Stearns Eliot ne escono malconci. A proposito dei due incompresi: anni fa durante una oscura lezione ad un circolo di letterati anonimi, Marco Ongaro (sempre sia lodato) seguace del correlativo oggettivo più spinto, ci espose la teoria della premonizione dell’atto poetico prendendo come esempio i due. Mo ve la spiego. Eliot nella dedica iniziale contenuta nella sua opera “La terra desolata” avrebbe predetto la prigionia di Pound per mano degli americani e il conseguente soggiorno in manicomio. La dedica recita “Al miglior fabbro” (riferendosi ad Ezra) ed è presa da un canto del “Purgatorio” di Dante: se lo leggete vi renderete conto che si, tutto combacia. Alla fine della seconda guerra mondiale infatti il poeta fu rinchiuso dagli esportatori di democrazia in una gabbia all’interno di un campo di prigionia. Esposto alle intemperie e alle battutine offensive. Il dubbio che mi rimane è che Eliot abbia portato semplicemente sfiga. E probabilmente Borges sarebbe d’accordo con me.

Nota tecnologica: se siete interessati alla nuova frontiera degli Haiku vi consiglio Times haiku: un tumblr con un software che crea haiku ricavati da articoli di giornale del New York Times. Un algoritmo alla base di tutto: per gli studenti di Lettere si prevedono tempi bui.

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poesie

Piove

montale sigarettaPiove. È uno stillicidio 
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.
Piove
da un cielo che non ha
nuvole.
Piove 
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.
(…)                                                     
                                     Eugenio Montale, Piove (da Satura)

Montale qui illustra tutto il suo ottimismo verso la vita umana, la natura e la società dei mitici (non per lui) anni sessanta. Obbiettivo primario di questa poesia in realtà è prendere grandemente per il culo Gabriele “Il vate” D’Annunzio e la sua La pioggia nel pineto. Che è un po’ come prendere in giro gli anziani che vivono al bar e hanno lo sguardo altrove. Forse peggio, visto che D’Annunzio era già morto all’epoca: suicida probabilmente. Gli attori di Hollywood non inventano nulla, se non le mode. Detto ciò la poesia si chiude con dei versi  sognanti e terribili allo stesso tempo, rivolti alla moglie di Montale, figura salvifica per il poeta, morta dopo un anno di matrimonio. Eh vabbè. Questo tipo di sconforto tutto borghese e reazionario all’epoca non andò giù al compagno Pasolini che decise di recensire Satura istituendo per l’occasione un tribunale del popolo per crimini contro il marxismo, i tempi che corrono e quelli che furono. Qui l’amicone Carmelo Bene presenta il giudice sadico farfugliando cose un po’ a casaccio come al solito. Credo in effetti che il corpo attoriale di Bene fosse composto internamente da una cavità orale che partiva dalla punta dei piedi e arrivava su su fino al cervello. Tutto vuoto. Non penso avesse nemmeno bisogno di nutrirsi. Vi lascio con uno che ogni tanto tenta di imitarlo. Quando ci prova mi tornano in mente i racconti di mio padre su suo nonno che alzava un po troppo il gomito e vagava per le colline della Lunigiana con una paura fottuta di incontrare gnomi, elfi (quelli stronzi che fanno i dispetti, non i fighetti tipo Legolas) e insidie varie. L’effetto è quello. Il tiro che hanno Il Teatro degli Orrori però è davvero notevole.

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